Omelia nella festa dell’Oratorio 2019
Nell’alternanza con cui don Dario ed io presiediamo al celebrazione delle Messa delle 10.30, è toccato a me presiede questa liturgia nella Festa dell’Oratorio e quindi tocca a me, oggi, mettere al centro della nostra riflessione il tema dell’oratorio.
L’oratorio è al centro di un lavoro di riflessione da parte dell’intera diocesi. Anche noi ne abbiamo discusso un poco in Consiglio Pastorale. E, molto opportunamente, una consigliera, nell’ultima seduta, sottolineava come a noi adulti sia chiesto di cambiare punto di vista sull’oratorio, di acquisire una nuova mentalità. L’oratorio di oggi non può più essere quello dei nostri tempi, quello di quando noi eravamo i giovani della parrocchia, perché oggi non si può più essere giovani come lo si era cinquanta o quaranta o anche solo dieci anni fa. I cambiamenti avvenuti sono tanti e significativi. Questo cambiamento di mentalità richiede, però, a noi adulti un grande sforzo, una grande fatica, che non sempre riusciamo a fare. E, allora, ci lamentiamo, rimpiangendo i tempi passati, consumando così le nostre energie nel lamento invece che nella progettazione di un nuovo modo di vivere l’oratorio.
Un cambiamento di mentalità da operare è innanzitutto quello di passare da una concezione di oratorio come luogo a oratorio come comunità educante.
Nel nostro comune modo di intender, infatti, l’oratorio è innanzitutto un luogo, uno spazio. E sovente ci si lamenta che oggi l’oratorio è vuoto mentre una volta era pieno di bambini, ragazzi , adolescenti, giovani.
Per oratorio, invece, io credo che dobbiamo intendere la comunità cristiana adulta che si prende cura dell’educazione alla fede dei più piccoli.
L’oratorio è questa cosa qui. Gli spazi in cui fare questo possono essere molti e diversi. Possono essere gli ambienti parrocchiali ma possono essere anche qualsiasi altro luogo, purché ci sia una comunità di cristiani adulti che si prende cura delle fede dei più giovani.
In questo modo l’oratorio realizza quell’essere «Chiesa in uscita» a cui tante volte ci sollecita papa Francesco.
«Chiesa in uscita» sono i cristiani che vivono e testimoniano il Vangelo in tutti gli ambienti quotidiani della vita.
Per essere «Chiesa in uscita», però, non basta stare fuori dalle mura parrocchiale. Occorre annunciare un «Vangelo in uscita», cioè un Vangelo che sia capace di dare libertà a chi lo ascolta, che faccia uscire dalla schiavitù per entrare nella libertà dei Figli di Dio.
Questa attenzione è fondamentale perché, altrimenti, la «Chiesa in uscita» diventa una Chiesa che va a conquistare o a riconquistare spazi che prima, magari, erano suoi e adesso, invece, non le appartengono più. E non le appartengono più non perché qualcuno glieli abbia sottratti ma perché non è necessario che le appartengano.
Perché «Chiesa in uscita», perché «oratorio in uscita»? Perché tutti i ragazzi e i giovani della nostra parrocchia siano raggiunti dall’annuncio del Vangelo. La nostra parrocchia conta 10.064 abitanti e di questi 2491 sono compresi nella fascia che va da zero a venticinque anni. L’ «oratorio in uscita» ha il compito di far giungere l’annuncio del Vangelo a tutti questi 2491 (non uno di meno!) bambini, ragazzi, adolescenti e giovani. E di farglielo giungere lì dove questi 2491 ragazzi vivono. E questo per un motivo squisitamente teologico, che spesso noi dimentichiamo. Il Vangelo parla della vita e, quindi, non c’è posto migliore per ascoltarlo che la vita quotidiana.
La nostra parrocchia, essendo stata scelta dalla diocesi, come parrocchia in cui attivare la sperimentazione del Progetto di Pastorale delle Periferie, sarà chiamata, nei prossimi due anni, a essere parrocchia, oratorio, comunità cristiana «in uscita». Questo ci chiederà un grande sforzo di conversione, ci chiederà di cambiare stili e modelli pastorali.
Un grande e impegnativo cammino ci aspetta.
Che Dio ci benedica.